di Vito Rizzo

La Chiesa della Madonna delle Grazie è oggi la parrocchia più popolosa di Agropoli, ma è interessante indagare sulla sua origine e osservare come la stessa abbia “preso forma” per rispondere alle esigenze della comunità locale nello spirito della koinonia che è costitutiva della ecclesia.

Il primo insediamento risale al XVI-XVII come cappella a servizio degli orti extraurbani in prossimità di un pozzo utilizzato dai contadini agropolesi per l’approvvigionamento idrico e quale spazio di ristoro all’ombra di un olmo secolare.

All’epoca la cappella intitolata alla Vergine Maria aveva assunto il titolo di Madonna del Pozzo. A seguito però della peste che colpì tutto il Regno di Napoli nel 1656 e nella quale anche Agropoli fu decimata con il decesso del 60% della popolazione (62 nuclei familiari su 103) l’affidamento alla Vergine portò l’11 agosto a vedere completamente superata la pestilenza. Da quel giorno il popolo decise di attribuire alla Vergine del Pozzo il titolo di Madonna delle Grazie festeggiandone la memoria locale proprio in questa data[1]. Non è documentata la data in cui alla piccola cappella fu aggiunto il corpo originario della chiesa odierna costituito dalla navata centrale. Probabilmente proprio la grazia ricevuta dalla popolazione spinse a dare maggior decoro al luogo sacro dedicato alla Vergine.

Una importante trasformazione della destinazione stessa della chiesa avvenne a seguito dell’editto napoleonico di Saint-Cloud del 12 giugno1804 e della legge del re di Napoli dell’11 marzo 1807 con la quale si dispose la costruzione del cimitero cittadino in prossimità della chiesa/cappella di Santa Maria delle Grazie dove rimase fino al 1928[2].

Lo sviluppo urbano della città portò nel 1951 l’allora Parroco di Agropoli, titolare della Chiesa Madre dei Ss. Pietro e Paolo, ubicata nella città alta, ad intervenire radicalmente sulla struttura della chiesa/cappella, allungando la navata centrale con un nuovo spazio per il presbiterio e aggiungendo le due navate laterali. Dopo pochi anni furono ulteriormente aggiunti il transetto (sormontato da una cupola) e l’abside. A seguito di questi interventi nel 1954 alla Chiesa della Madonna delle Grazie venne riconosciuta dal Vescovo della Diocesi di Vallo della Lucania l’autonomia parrocchiale dalla Chiesa Madre.

Nel 1961 fu eretto il trono della Madonna in marmi policromi proprio per dare valorizzare tanto il presbiterio, quanto l’altare della consacrazione che la stessa collocazione della immagine della Vergine.

Nel 1964 venne innalzato il campanile, nello spazio antistante la casa canonica, mentre sull’altro lato della chiesa, nelle immediate adiacenze, venne costruita la casa per le attività parrocchiali.

Negli anni ’90 sono stati realizzati i lavori di ristrutturazione interna ed esterna che hanno portato, a seguito delle disposizioni intervenute con la Costituzione Sacrosantum Concilium emanata nel corso del Concilio Vaticano II, a ricollocare la balaustra in marmo che separava il presbiterio dall’area dell’assemblea liturgica e a ricollocare l’altare del Santissimo Sacramento nella navata laterale di destra. I lavori di ristrutturazione dell’adiacente casa per le attività pastorali, con l’aggiunta di una nuova sala polifunzionale, sono stati invece realizzati dal 2009 al 2015.

È interessante notare come la collocazione della nicchia della Madonna sull’altare centrale, incrociando la prospettiva che si ha entrando nella Chiesa verso l’abside sembra fare della figura stessa di Maria quell’apertura che soprattutto in periodo romanico costituiva la porta di ingresso della luce divina nel luogo sacro e sull’altare. La figura di Maria si staglia quale “porta” assume anche il “luogo” simbolico di “Porta del Cielo” quale sede dell’incarnazione di Dio fatto uomo.

La luce che non entra in maniera naturale si rende visibile nella scelta simbolica che “illumina” il luogo sacro, il presbiterio e l’altare e attira l’attenzione del fedele chiamato a riconoscere nell’immagine di Maria quella luce che è rappresentata da Dio che entra nel mondo: Gesù.

Proprio nella dimensione della luce si apre per la Chiesa di Santa Maria delle Grazie una prospettiva interessante di sviluppo dello spazio nella celebrazione del Mistero. La scelta cromatica dell’ultimo restauro avvenuto negli anni ’90, con i colori della cupola e dell’abside rispettivamente argento e oro, consentono di esaltare quegli spazi in sintonia con la loro funzione liturgica.

La ricerca della luce infatti è stata un’esigenza che ha mosso le scelte artistiche ed architettoniche sin dai primi secoli del cristianesimo. In uno spazio disadorno e privo di luce naturale come la Chiesa della Madonna delle Grazie, alla ricerca simbolica del Mistero non resta che esaltare la dinamicità della luce artificiale. Si tratta in altri termini di valorizzare gli spazi liturgici e le forme architettoniche secondo lo spirito proprio del Barocco «che mirava a proporre dei riflettori artificiali ante litteram» (cit. E.Gambuti), con la sostanziale differenza che questa volta si potrebbe far ricorso ai moderni riflettori in maniera funzionale alla celebrazione del Sacramento eucaristico.

L’uso della luce artificiale può infatti assumere una funzione non solo artistica, come nel caso dell’installazione realizzata da Dan Flavin nella “Chiesa Rossa” della Santissima Annunziata di Milano, ma anche una funzione prettamente funzionale all’esaltazione dei momenti liturgici.

È così che la proclamazione della Parola potrebbe vedere illuminata l’assemblea con faretti che partano proprio dall’ambone, mentre al momento del canto angelico del “Santus, Santus, Santus” la cupola argentea potrebbe riflettere la luce di faretti laser roteanti distribuiti sul tamburo della cupola, e l’abside e l’altare potrebbero essere illuminati nei momenti dell’epiclesi da faretti direzionali, nel primo caso dal basso verso l’alto per riflettere la luce nel colore oro della calotta, nel secondo con una luce intensa che dal centro della cupola punti sul corporale posizionato sull’altare e sulle mani del sacerdote.

Immediate sarebbero le obiezioni, motivate dal timore di “spettacolarizzare” un momento sacro, ma non è forse questo che l’arte ha tentato di fare nel corso dei secoli per aprire i fedeli alla comprensione esperienziale del Mistero? Se infatti le luci artificiali già vengono utilizzate abitualmente nelle nostre chiese ed a cui si fa ricorso, ad esempio, anche per illuminare l’ostensorio nel corso dei momenti di adorazione eucaristica, perché non accoglierne un uso professionale coerente con il Mistero che si sta vivendo? L’esaltazione della bellezza è da sempre una chiave che apre sul Mistero, accompagnare la celebrazione con un uso della luce artificiale “ragionato” potrebbe pertanto stimolare i fedeli da un punto di vista sensoriale aiutandoli ad essere parte attiva e consapevole della celebrazione. Oggi le persone vivono abitualmente sollecitazioni visive molto più accentuate e di certo le nostre reazioni sensoriali, vivendo di questa sovraesposizione, non sono catturate dalla creatività architettonica e pittorica al pari di qualche secolo fa. Si potrebbe cogliere lo “spirito dei tempi” ricorrendo all’arte della luce artificiale per lasciare intuire più facilmente l’invisibile, e di conseguenza vivere con maggiore partecipazione sensoriale ed emotiva il Mistero che si va a celebrare. La Chiesa della Madonna delle Grazie potrebbe pertanto prestarsi efficacemente per un “progetto pilota” volto ad aprire la celebrazione eucaristica a nuove forme di partecipazione esperienziale.

[1] Per i riferimenti storici cf. V.Urti, La Parrocchia di Santa Maria delle Grazie di Agropoli, Edizioni Palladio, Salerno 1998.

[2] Ibidem